mercoledì 23 marzo 2011

[da Burdellu Music:] Long hair in three stages live @ Lomax (Catania) Live report



(articolo originale qui: 
Burdellu: Long hair in three stages live @ Lomax (Catania))
Finalmente una band alla vecchia maniera: musica solida, testi impegnati e una presenza scenica che fa a meno di abitini trendy.
La prima cosa che fanno i Long hair in three stages una volta sul palco è prenderti a pugni. Perché quando la musica parte la sensazione non può essere che quella. Altro che chitarrine e synth, loro portano sul palco un passato fatto di noise, shoegaze e punk e tutta la rabbia e la denuncia dei testi delle loro canzoni.
Long hair in three stages (Emanuele Finocchiaro alla batteria, Roberto Risicato al basso, Fabio Corsaro alla chitarra e Giuseppe Iacobaci alla voce) raccontano storie e lo fanno attraverso il rock anche se, come loro stessi dicono sul palco, “le canzoni politiche non hanno mai risolto niente, a parte far divertire con del sano rock”. In sala un pubblico affezionato che mostra di aver accolto molto bene il loro nuovo album “Like a fire in a cave”, registrato allo Zen Arcade di Catania.
Il concerto si apre con “Breaking the horizon of expectation”, che pare più una manifestazione di intenti. Al microfono Giuseppe ha la voce di un Brian Molko meno finocchio e più incazzato mentre racconta e canta della chiusura dei luoghi di cultura, ricordando la vergogna della chiusura del centro sociale Experia di Catania a cui hanno dedicato una canzone cantata metà in inglese e metà in italiano, perché il messaggio arrivi senza fraintendimenti (anche se nessuno sembra mettere in dubbio quello “shame on you” gridato contro le polizia). Si passa poi ad “Oil” che tratta la ricerca del petrolio in Sicilia e a “The buyer” dedicata ad un certo Silvio (“Silvio rimembri ancor quel tempo della tua vita mortale…”).
Sul palco nel frattempo non c’è nessuno che faccia meno casino dell’altro, con una chitarra che pare essere un’onnipresente moglie gelosa pronta a ribattere ad ogni verso del cantante, con un basso ingombrante come non se ne sentivano da tempo ed una batteria che esplode e dà il suo meglio nella parte finale del concerto, proprio nel momento in cui la maggior parte dei batteristi invece si adagia. Il pubblico li ama e glielo dimostra ampiamente, mentre il cantante ad un certo punto si butta per terra esausto. Ed è questo il piacere dello sporco, dello sporcarsi di musica e di sporcare i suoni.
Hanno talmente tante storie da raccontare i Long hair in three stages che a fine concerto pare quasi aver visto un film. E proprio a fine concerto ringraziano il loro pubblico per essere in sala perché “ormai non è facile che la gente vada ai concerti senza dj-set e stacchettini vari”. Perché in fondo tutti coloro i quali si fanno chiamare “indie” non sono altro che “tronisti travestiti”.
Per il resto credo di essere riuscita a rientrare nei limiti “imposti” dalla band, che dopo il concerto sperava che il mio report non contenesse più di tre delle seguenti cose: (1) dei ghirigori satanici aventi per protagonista il gatto Felix; (2) elenco di antidolorifici o marche di tappi per le orecchie da non dimenticare la prossima volta; (3) un disegno di un tizio pelato con un paletto di frassino conficcato nel cuore; (4) varie bestemmie disperate ispirate dalla temperatura gelida dei gradini stessi; (5) varie e ripetute espressioni di attesa nei confronti della mezzanotte; (6) il numero di telefono del coreografo di thom yorke da passare al cantante; (7) espressioni di giubilo e simpatia per i minisiparietti audio del bassista; e soprattutto, dio ci scampi: (8) "il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca il mattino ha l'oro in bocca"; (9) "strabiliante sintesi di rasoiate noise e cupezze wave".



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